McLuhan
2003-10-12 22:59:13 UTC
http://ilmattino.caltanet.it/hermes/20031012/NAZIONALE/CRONACA_NAPOLI/ANNA.htm
IL CENTAURO
RIBELLE
Pietro Gargano
Nell'estate del 1970 Antonio Mellino, diciott'anni, fece pista di gran
premio delle strade di Napoli, a cavallo della sua Gilera 125 un poco
truccata. Al governo c'era Emilio Colombo; 250.000 giovani avevano da poco
invaso l'isola di Wight per ascoltare Joan Baez e Jimi Hendrix, fumare l'
erba e fare l'amore nell'erba; la benzina era appena rincarata di 22 lire al
litro.
La polizia s'intestardì a dare la caccia a quel centauro dai lunghi capelli
che tagliava le curve sgommando e aggirava i posti di blocco infilando le
scale del centro antico. Durò dal 18 al 23 agosto, i giornali non se ne
accorsero. Il tam tam dei vicoli diede invece notizia della sfida alle
guardie lanciata dal ragazzo ribattezzato Agostino 'o pazzo, da Agostini
Giacomo che vinceva mondiali di motociclismo in serie. Così dal 23 al 26
agosto - le Quattro Nottate di Napoli - tre-quattromila persone scesero a
tarda sera nel quadrilatero tra piazza Municipio, piazza Trieste e Trento,
via Toledo e piazza Carità sperando di assistere alle evoluzioni del
temerario. I ragazzini si arrampicarono ai pali della luce per dare
tempestiva notizia del suo arrivo. Nacquero ingorghi a croce uncinata.
Il bello è che Antonio-Agostino non c'era più, anche se lo avvistavano
ovunque; nella mala parata, si era rintanato e non tornava a casa. In strada
c'erano invece più di settecento poliziotti e carabinieri in divisa
antisommossa con manganelli, caschi e scudi. Fu visto un ufficiale dalla
sciabola sguainata. La folla sfotteva, gli agenti caricarono, sassi e
bottiglie contro lacrimogeni. Bilancio: 56 feriti, 59 arrestati, 232
fermati. I fermati li salutavano con uno sventolio di fazzoletti.
Sociologi, psicologi e tuttologi di pronto intervento si scatenarono per
descrivere il ribellismo dell'eterna «plebe napoletana» e del redivivo
Masaniello su due ruote. Il 25 agosto il motociclista misterioso fu
identificato, forse seguendo la pista di quell'altro appellativo, Totonno 'e
mezanotte, attribuitogli dai tifosi nottambuli. Quando i carabinieri si
presentarono a casa sua in piazza dei Girolamini, il padre Vincenzo, onesto
rigattiere, disse: «So perché siete venuti: non c'è». E si sentì male.
L'ignaro Antonio-Agostino sperava solo, con una certa ingenuità, di non
essere acchiappato. Lo presero il 18 settembre in piazza del Gesù. Era in
auto con gli amici, fosse stato sulla moto sarebbe stato più difficile. Lo
portarono ai Filangieri, i giornali stamparono la sua foto con lo sguardo
corrucciato. Gli diedero una condanna severa ma non fece neppure un giorno
di carcere perché, nonostante gli sforzi, risultò nient'altro che un vivace
giovanotto di brava famiglia con la licenza media e l'ossessione della
velocità.
Antonio Mellino abita ancora in piazza dei Girolamini, nel palazzo in cui
visse Giambattista Vico, retaggio ricordato da una lapide gonfia di umidità.
Avendo ereditato il mestiere dal padre, apre bottega di fronte alla
cancellata della chiesa e si muove tra icone e pastori, ex-voto e
mattonelle, angeli e santi, teste di imperatori e scartellati. Ha svoltato
sui cinquant'anni, ha messo su qualche chilo e ha otto fratelli e quattro
figlie diplomate o studentesse. «Mi chiamo Antonio» si presenta; la gente
passa e lo saluta: «Buongiorno signor Agostino». Indica la piazza: «Ecco il
mio salotto». Fu lui, dopo la scossa del 1980, a salvare il tempio dall'
invasione di cani, altre bestie e drogati, recintandolo con vecchie brande,
filo spinato e materiali di risulta.
Allora, fu davvero una sfida?
«Macché. Cominciò perché mi volevano fermare a piazza Trieste e Trento,
stavo andando dalla mia ragazza; fuggii perché avevo paura che papà lo
venisse a sapere. Tenevo la passione della moto, a 14 anni avevo comprato
già una Vespa. Correvo, facevo le tirate sotto la galleria della Vittoria,
ero stato pure a Vallelunga. Papà non voleva, mi tagliava le gomme. M'
inseguivano e io scappavo, ecco tutto. Non ci provai sfizio, anzi non capivo
niente più. In quello che successe attorno non c'entravo nulla».
Quale fu la svolta meno pericolosa?
«Avvenne nei tre mesi passati ai Filangieri. Là dentro capii il bene e il
male, capii soprattutto che la vita è bella».
E cominciò a lavorare...
«Tornai a lavorare, perché già accompagnavo papà nei mercatini, a Porta
Portese».
Però non fece solo quello, girò pure qualche film.
«Sì, feci "Stress" con Ornella Muti e Irene Papas, diretto da Lenzi. Era la
storia di un ragazzo che correva in moto, uguale a me. Ma non mi piacque,
Napoli usciva negativa come sempre. Pure nei film vengono a riprendere i
soliti sfondi gratis e il resto lo fanno a Roma. Ma perché non fanno mai
vedere le cose belle e vere che abbiamo?».
Poi girò altri film.
«"Maccheroni" di Scola, "La pelle" di Liliana Cavani. Sono stato pure
controfigura, cascatore. Restai tre mesi a Roma per un film americano "I
guerrieri del mondo perduto"; insegnai ad andare in moto al protagonista. Ho
fatto anche il circo, con Heller Togni. Saltavo in moto undici auto messe in
fila, una volta la tavola per lo slancio era troppo morbida, rimbalzai in
aria e cadendo mi bucai le ginocchia. Smisi».
Riprende. «Per qualche tempo, a fine anni Settanta, ho organizzato
spettacoli con Maurizio Mauri. Fittavamo un locale, 7.000 lire al biglietto.
Ingaggiammo pure Massimo Troisi. Faceva la parte del guappo in pigiama, alla
Viviani. Diceva: Ccà ci sta un solo guappo e so' io. E se ne vedete due è
perché mi sto guardando nello specchio».
La nostalgia della moto non l'ha mai inseguita?
«E chi l'ha lasciata mai? La Gilera 125 sta sotto il palazzo. Ho una
Kawasaki e una Guzzi 350. Quando le bambine erano piccole comprai un sidecar
per portarle come in una carrozzina, si divertivano. E ho pure la passione
dei cavalli. Del resto, qua a Napoli non puoi correre davvero, devi andare a
Vallelunga oppure imboccare un'autostrada. So guidare ancora, quello non si
scorda. Però la moto la porto come fosse un cavallo: con rispetto».
Anche se le motociclette d'oggi sono un'altra cosa?
«E già. Sono diventate proiettili volanti, ma come si fa a portarle?
Bisognerebbe stare attenti a chi si danno. Mi chiamavano Agostino 'o pazzo e
lo so bene: in moto viene l'eccitazione, si diventa un'altra persona. E
invece l' importante è la sicurezza. Lo dico ai giovani: rispettate il
codice, mettevi il casco perché può salvare la vita. Certo, bisognerebbe che
i caschi e l'assicurazione costassero meno».
Passa un ragazzo barcollante, con la roba nelle vene; vorrebbe andare a fare
la doccia dalle suore ma il portone è chiuso. Antonio una volta Agostino gli
parla, lo spinge a riposarsi al sole. Dice: «Bisognerebbe fare qualcosa per
i giovani, dargli occasioni di lavoro, di normalità. Invece a Napoli non si
trovano ed ecco qua».
Nessun rimpianto per la popolarità, le corse, il cinema?
«Nessuno. Dentro non mi sono rimasti ricordi particolari, erano cose di
gioventù. La vita è tutta uguale, adesso lo so, so che contano la salute e l
'amicizia. Sono cambiato e sereno. Mi piace il mio mestiere e se viene un
periodo in cui si vende poco, carico la roba su un camioncino e me ne vado a
Porta Portese. E poi il popolo mi vuole bene e questa piazza è come se fosse
mia. Lo sapete che una volta qua c'erano cinque chiese?».
Adesso passa un'albanese con due gemelli biondi in un carrozzino. Sul
manubrio ha applicato un bicchiere per le offerte e un registratore avvolto
nel nastro adesivo da cui escono le note di un flauto etnico.
«Ma che fantasia tengono questi immigrati» commenta Antonio-Agostino dopo l'
obolo. E ricomincia: «Lo sapete che da quel palazzo si passa direttamente
alla biblioteca dei Girolamini?...»
Accendi internet e trovi che Agostino 'o pazzo non è stato dimenticato, è
ancora un modello di ribellione possibile e di stile di guida. Un articolo
dice che Schumacher ha vinto con «una tirata alla Agostino 'o pazzo». Non
oso riferirlo al quieto signore seduto nel suo salotto su un bordo della
piazza dei Girolamini, davanti alle icone e agli ex-voto.
Il vero Agostini: «Nei vicoli mi avrebbe battuto»
http://ilmattino.caltanet.it/hermes/20031012/NAZIONALE/CRONACA_NAPOLI/CENTRO.htm
Oggi è un bell'uomo di cinquantotto anni con i capelli quasi tutti bianchi e
un filo di pancetta. Trent'anni fa era l'idolo delle ragazze, col suo
sorriso accattivante e la tuta rosso fuoco della Mv Agusta. Parliamo di
Giacomo Agostini, il mito degli anni Settanta, che ispirò chi ribattezzò l'
imprendibile Antonio Mellino col soprannome di Agostino 'o pazzo.
Lo raggiungiamo al cellulare mentre sta raggiungendo un paesino in provincia
di Padova, dove c'è un raduno di motociclisti. È il testimonial dell'Agusta,
non può mancare a certe manifestazioni.
«Agostino 'o pazzo? Certo che me lo ricordo. Il napoletano, quello che
faceva impazzire la polizia con le sue rocambolesche fughe». Giacomo
Agostini ricorda perfettamente. Conobbe il nostro Mellino nella Capitale,
quando il centauro napoletano tentava la sua avventura nel cinema. «Lo
incontrai una sola volta, a Roma. Mi pare che stesse girando un film con
Ornella Muti. Mi fu subito simpatico. D'altra parte un napoletano non può
non risultare simpatico al primo incontro» dice il campione bresciano.
«No. Non l'ho visto andare in moto. Non ci siamo insomma "confrontati", ma
so che andava fortissimo, che era molto, molto in gamba. Era bravo a guidare
la sua Gilera 125 in città, nei vicoli. Quella, ovviamente, è tutta un'altra
guida rispetto alle corse vere. Forse ci vuole più abilità rispetto alla
pista...».
Il motociclista - quindici volte campione del mondo, otto volte nella classe
500, sette nella classe 350 e primo in ben 122 gran premi - si rammarica di
non aver assistito alle esibizioni dell'allora giovane napoletano. «Certo,
mi sarebbe piaciuto assistere alle sue performances. Ma all'epoca anch'io
ero sulla cresta dell'onda e quando il Mellino si esibiva anch'io facevo
altrettanto».
«Quando si parlava di Agostino 'o pazzo avevo già vinto dieci campionati del
mondo. Erano gli inizi degli anni Settanta. Qualche tempo dopo sono stato a
Napoli. Ed ho voluto vedere i luoghi in cui si era esibito il mio "sosia".
Effettivamente, per quelle stradine dei Quartieri spagnoli, doveva essere un
'impresa seminare gli inseguitori, ovvero poliziotti e carabinieri».
«Non mi ha mai dato fastidio - conclude il campione Giacomo Agostini - che a
un giovane napoletano, sia pure per certi versi fuorilegge, gli fosse stato
dato il mio nome. Anzi. Addirittura, sotto alcuni aspetti, la cosa mi
inorgogliva. Il giovane motociclista era comunque un mito. E non soltanto a
Napoli. Tutta la stampa d'Italia parlava delle imprese di quel ragazzo in
modo assolutamente enfatico. Non mi dispacerebbe, dopo tanti anni,
incontrarlo un'altra volta, magari proprio nella sua città e, perché no,
fare con lui un giro in moto».
IL CENTAURO
RIBELLE
Pietro Gargano
Nell'estate del 1970 Antonio Mellino, diciott'anni, fece pista di gran
premio delle strade di Napoli, a cavallo della sua Gilera 125 un poco
truccata. Al governo c'era Emilio Colombo; 250.000 giovani avevano da poco
invaso l'isola di Wight per ascoltare Joan Baez e Jimi Hendrix, fumare l'
erba e fare l'amore nell'erba; la benzina era appena rincarata di 22 lire al
litro.
La polizia s'intestardì a dare la caccia a quel centauro dai lunghi capelli
che tagliava le curve sgommando e aggirava i posti di blocco infilando le
scale del centro antico. Durò dal 18 al 23 agosto, i giornali non se ne
accorsero. Il tam tam dei vicoli diede invece notizia della sfida alle
guardie lanciata dal ragazzo ribattezzato Agostino 'o pazzo, da Agostini
Giacomo che vinceva mondiali di motociclismo in serie. Così dal 23 al 26
agosto - le Quattro Nottate di Napoli - tre-quattromila persone scesero a
tarda sera nel quadrilatero tra piazza Municipio, piazza Trieste e Trento,
via Toledo e piazza Carità sperando di assistere alle evoluzioni del
temerario. I ragazzini si arrampicarono ai pali della luce per dare
tempestiva notizia del suo arrivo. Nacquero ingorghi a croce uncinata.
Il bello è che Antonio-Agostino non c'era più, anche se lo avvistavano
ovunque; nella mala parata, si era rintanato e non tornava a casa. In strada
c'erano invece più di settecento poliziotti e carabinieri in divisa
antisommossa con manganelli, caschi e scudi. Fu visto un ufficiale dalla
sciabola sguainata. La folla sfotteva, gli agenti caricarono, sassi e
bottiglie contro lacrimogeni. Bilancio: 56 feriti, 59 arrestati, 232
fermati. I fermati li salutavano con uno sventolio di fazzoletti.
Sociologi, psicologi e tuttologi di pronto intervento si scatenarono per
descrivere il ribellismo dell'eterna «plebe napoletana» e del redivivo
Masaniello su due ruote. Il 25 agosto il motociclista misterioso fu
identificato, forse seguendo la pista di quell'altro appellativo, Totonno 'e
mezanotte, attribuitogli dai tifosi nottambuli. Quando i carabinieri si
presentarono a casa sua in piazza dei Girolamini, il padre Vincenzo, onesto
rigattiere, disse: «So perché siete venuti: non c'è». E si sentì male.
L'ignaro Antonio-Agostino sperava solo, con una certa ingenuità, di non
essere acchiappato. Lo presero il 18 settembre in piazza del Gesù. Era in
auto con gli amici, fosse stato sulla moto sarebbe stato più difficile. Lo
portarono ai Filangieri, i giornali stamparono la sua foto con lo sguardo
corrucciato. Gli diedero una condanna severa ma non fece neppure un giorno
di carcere perché, nonostante gli sforzi, risultò nient'altro che un vivace
giovanotto di brava famiglia con la licenza media e l'ossessione della
velocità.
Antonio Mellino abita ancora in piazza dei Girolamini, nel palazzo in cui
visse Giambattista Vico, retaggio ricordato da una lapide gonfia di umidità.
Avendo ereditato il mestiere dal padre, apre bottega di fronte alla
cancellata della chiesa e si muove tra icone e pastori, ex-voto e
mattonelle, angeli e santi, teste di imperatori e scartellati. Ha svoltato
sui cinquant'anni, ha messo su qualche chilo e ha otto fratelli e quattro
figlie diplomate o studentesse. «Mi chiamo Antonio» si presenta; la gente
passa e lo saluta: «Buongiorno signor Agostino». Indica la piazza: «Ecco il
mio salotto». Fu lui, dopo la scossa del 1980, a salvare il tempio dall'
invasione di cani, altre bestie e drogati, recintandolo con vecchie brande,
filo spinato e materiali di risulta.
Allora, fu davvero una sfida?
«Macché. Cominciò perché mi volevano fermare a piazza Trieste e Trento,
stavo andando dalla mia ragazza; fuggii perché avevo paura che papà lo
venisse a sapere. Tenevo la passione della moto, a 14 anni avevo comprato
già una Vespa. Correvo, facevo le tirate sotto la galleria della Vittoria,
ero stato pure a Vallelunga. Papà non voleva, mi tagliava le gomme. M'
inseguivano e io scappavo, ecco tutto. Non ci provai sfizio, anzi non capivo
niente più. In quello che successe attorno non c'entravo nulla».
Quale fu la svolta meno pericolosa?
«Avvenne nei tre mesi passati ai Filangieri. Là dentro capii il bene e il
male, capii soprattutto che la vita è bella».
E cominciò a lavorare...
«Tornai a lavorare, perché già accompagnavo papà nei mercatini, a Porta
Portese».
Però non fece solo quello, girò pure qualche film.
«Sì, feci "Stress" con Ornella Muti e Irene Papas, diretto da Lenzi. Era la
storia di un ragazzo che correva in moto, uguale a me. Ma non mi piacque,
Napoli usciva negativa come sempre. Pure nei film vengono a riprendere i
soliti sfondi gratis e il resto lo fanno a Roma. Ma perché non fanno mai
vedere le cose belle e vere che abbiamo?».
Poi girò altri film.
«"Maccheroni" di Scola, "La pelle" di Liliana Cavani. Sono stato pure
controfigura, cascatore. Restai tre mesi a Roma per un film americano "I
guerrieri del mondo perduto"; insegnai ad andare in moto al protagonista. Ho
fatto anche il circo, con Heller Togni. Saltavo in moto undici auto messe in
fila, una volta la tavola per lo slancio era troppo morbida, rimbalzai in
aria e cadendo mi bucai le ginocchia. Smisi».
Riprende. «Per qualche tempo, a fine anni Settanta, ho organizzato
spettacoli con Maurizio Mauri. Fittavamo un locale, 7.000 lire al biglietto.
Ingaggiammo pure Massimo Troisi. Faceva la parte del guappo in pigiama, alla
Viviani. Diceva: Ccà ci sta un solo guappo e so' io. E se ne vedete due è
perché mi sto guardando nello specchio».
La nostalgia della moto non l'ha mai inseguita?
«E chi l'ha lasciata mai? La Gilera 125 sta sotto il palazzo. Ho una
Kawasaki e una Guzzi 350. Quando le bambine erano piccole comprai un sidecar
per portarle come in una carrozzina, si divertivano. E ho pure la passione
dei cavalli. Del resto, qua a Napoli non puoi correre davvero, devi andare a
Vallelunga oppure imboccare un'autostrada. So guidare ancora, quello non si
scorda. Però la moto la porto come fosse un cavallo: con rispetto».
Anche se le motociclette d'oggi sono un'altra cosa?
«E già. Sono diventate proiettili volanti, ma come si fa a portarle?
Bisognerebbe stare attenti a chi si danno. Mi chiamavano Agostino 'o pazzo e
lo so bene: in moto viene l'eccitazione, si diventa un'altra persona. E
invece l' importante è la sicurezza. Lo dico ai giovani: rispettate il
codice, mettevi il casco perché può salvare la vita. Certo, bisognerebbe che
i caschi e l'assicurazione costassero meno».
Passa un ragazzo barcollante, con la roba nelle vene; vorrebbe andare a fare
la doccia dalle suore ma il portone è chiuso. Antonio una volta Agostino gli
parla, lo spinge a riposarsi al sole. Dice: «Bisognerebbe fare qualcosa per
i giovani, dargli occasioni di lavoro, di normalità. Invece a Napoli non si
trovano ed ecco qua».
Nessun rimpianto per la popolarità, le corse, il cinema?
«Nessuno. Dentro non mi sono rimasti ricordi particolari, erano cose di
gioventù. La vita è tutta uguale, adesso lo so, so che contano la salute e l
'amicizia. Sono cambiato e sereno. Mi piace il mio mestiere e se viene un
periodo in cui si vende poco, carico la roba su un camioncino e me ne vado a
Porta Portese. E poi il popolo mi vuole bene e questa piazza è come se fosse
mia. Lo sapete che una volta qua c'erano cinque chiese?».
Adesso passa un'albanese con due gemelli biondi in un carrozzino. Sul
manubrio ha applicato un bicchiere per le offerte e un registratore avvolto
nel nastro adesivo da cui escono le note di un flauto etnico.
«Ma che fantasia tengono questi immigrati» commenta Antonio-Agostino dopo l'
obolo. E ricomincia: «Lo sapete che da quel palazzo si passa direttamente
alla biblioteca dei Girolamini?...»
Accendi internet e trovi che Agostino 'o pazzo non è stato dimenticato, è
ancora un modello di ribellione possibile e di stile di guida. Un articolo
dice che Schumacher ha vinto con «una tirata alla Agostino 'o pazzo». Non
oso riferirlo al quieto signore seduto nel suo salotto su un bordo della
piazza dei Girolamini, davanti alle icone e agli ex-voto.
Il vero Agostini: «Nei vicoli mi avrebbe battuto»
http://ilmattino.caltanet.it/hermes/20031012/NAZIONALE/CRONACA_NAPOLI/CENTRO.htm
Oggi è un bell'uomo di cinquantotto anni con i capelli quasi tutti bianchi e
un filo di pancetta. Trent'anni fa era l'idolo delle ragazze, col suo
sorriso accattivante e la tuta rosso fuoco della Mv Agusta. Parliamo di
Giacomo Agostini, il mito degli anni Settanta, che ispirò chi ribattezzò l'
imprendibile Antonio Mellino col soprannome di Agostino 'o pazzo.
Lo raggiungiamo al cellulare mentre sta raggiungendo un paesino in provincia
di Padova, dove c'è un raduno di motociclisti. È il testimonial dell'Agusta,
non può mancare a certe manifestazioni.
«Agostino 'o pazzo? Certo che me lo ricordo. Il napoletano, quello che
faceva impazzire la polizia con le sue rocambolesche fughe». Giacomo
Agostini ricorda perfettamente. Conobbe il nostro Mellino nella Capitale,
quando il centauro napoletano tentava la sua avventura nel cinema. «Lo
incontrai una sola volta, a Roma. Mi pare che stesse girando un film con
Ornella Muti. Mi fu subito simpatico. D'altra parte un napoletano non può
non risultare simpatico al primo incontro» dice il campione bresciano.
«No. Non l'ho visto andare in moto. Non ci siamo insomma "confrontati", ma
so che andava fortissimo, che era molto, molto in gamba. Era bravo a guidare
la sua Gilera 125 in città, nei vicoli. Quella, ovviamente, è tutta un'altra
guida rispetto alle corse vere. Forse ci vuole più abilità rispetto alla
pista...».
Il motociclista - quindici volte campione del mondo, otto volte nella classe
500, sette nella classe 350 e primo in ben 122 gran premi - si rammarica di
non aver assistito alle esibizioni dell'allora giovane napoletano. «Certo,
mi sarebbe piaciuto assistere alle sue performances. Ma all'epoca anch'io
ero sulla cresta dell'onda e quando il Mellino si esibiva anch'io facevo
altrettanto».
«Quando si parlava di Agostino 'o pazzo avevo già vinto dieci campionati del
mondo. Erano gli inizi degli anni Settanta. Qualche tempo dopo sono stato a
Napoli. Ed ho voluto vedere i luoghi in cui si era esibito il mio "sosia".
Effettivamente, per quelle stradine dei Quartieri spagnoli, doveva essere un
'impresa seminare gli inseguitori, ovvero poliziotti e carabinieri».
«Non mi ha mai dato fastidio - conclude il campione Giacomo Agostini - che a
un giovane napoletano, sia pure per certi versi fuorilegge, gli fosse stato
dato il mio nome. Anzi. Addirittura, sotto alcuni aspetti, la cosa mi
inorgogliva. Il giovane motociclista era comunque un mito. E non soltanto a
Napoli. Tutta la stampa d'Italia parlava delle imprese di quel ragazzo in
modo assolutamente enfatico. Non mi dispacerebbe, dopo tanti anni,
incontrarlo un'altra volta, magari proprio nella sua città e, perché no,
fare con lui un giro in moto».